L’Atlante dell’assenza.

Michelangelo scuola w
L’Atlante dell’assenza.
Appunti per una mitologia del ritrovamento.
Quando tutto sembra perduto nasce una nuova consapevolezza. Essa si accompagna ad una serenità che deriva dal pensare che tutto possono toglierci – gli uomini e la morte – tranne il passato. E che è il passato la vera differenza tra il niente e il tutto. Cioè il senso.
Quello che abbiamo fatto, quello che abbiamo vissuto, le sensazioni e i sentimenti che abbiamo provato – questo ci arricchisce. Ed è una ricchezza che si fonda sulla qualità e non sulla quantità, nel senso che essere stato felice anche solo una volta, essere stato amato anche solo una volta, già ti fa ricco.
Così la parola “c’era”, con la quale, come scriveva Nietzsche nella seconda delle Considerazioni Inattuali, “lotta, sofferenza e tedio si avvicinano all’uomo per rammentargli ciò che in fondo è la sua esistenza – qualcosa di imperfetto che non può mai essere compiuto” – diventa invece la parola che lo salva dall’essere nulla. Mentre l’eterno presente del “qui e ora” svela la sua reale inconsistenza, in una sorta di capovolgimento della malintesa accezione comune secondo la quale vivere nel presente significa vivere con pienezza.
Ma è una serenità breve, che dura il tempo dello svolgersi del ragionamento. Perché essendo il passato una dimensione esistente solo nel presente sotto forma di ricordo, questo alla fine è l’orrore vero e irrisolvibile della morte, che ponendo fine all’esistenza pone fine non alla vita, che è solo struttura, ma al passato, che su quella struttura ogni istante che passa si sviluppa, e che però si perde quando la struttura smette di funzionare.
La consapevolezza così diventa tragica, cioè diventa consapevolezza dell’inconciliabile, dell’irrisolvibile, del non dialettizzabile, e del superbo monumento costruito in duemilaecinquecento anni dalla filosofia restano solo macerie. Tra le quali beffardo si aggira lo spirito di Holderlin, a ricordarci che solo la parola poetica può esprimere, non risolvendolo, l’inconciliabile. E che dunque della poesia la filosofia è soltanto la sorella meno fortunata.
Adesso la consapevolezza ha un sapore amaro, ma la serenità che all’inizio l’accompagnava si fa di nuovo strada dentro di noi, perché attraverso la poesia, che è presenza dell’assente nell’attimo in cui viene a mancare, ritroviamo un tempo diverso, un tempo (cioè un piano dimensionale) che avevamo perduto negli avvolgimenti ipnotici del pensiero, il cui movimento originario è un movimento in levare, di sottrazione, un contare col segno meno davanti che ci riconcilia col pensiero della perdita, che perdita non è più ma è il rispecchiarsi dell’aggiungere, un accumulare al contrario in cui possiamo riconoscerci, di cui possiamo fare parte.
E’ di questo ritrovamento che vogliamo rintracciare la mitologia, per ricostruirne il senso e verificarne le potenzialità residue. Convinti come siamo che del mito non si possa fare a meno (del resto la stessa modernità non è che un mito, essa stessa che pretendeva di nascere sulle ceneri degli dei – per giunta molto meno credibile), e non rassegnandoci all’inevitabilità del post-umano, vogliamo verificare la possibilità di ripercorrere all’indietro la strada sulla quale da più di duemila anni ci allontaniamo da noi stessi.

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